Da padrone-proprietario-capobranco a custode-compagno di viaggio:
un viaggio pieno di scoperte
Idee e riflessioni sul difficile percorso che potrebbe portarci a diventare i migliori amici di quello che già da tempo è il nostro migliore amico.
Articolo di Elena Grassi pubblicato la prima volta nella Newsletter n. 4 di Impronte di luce – dicembre 2010, e tratto dal sito Impronte di luce (https://www.improntediluce.it/#)
Per il cane, essere il nostro migliore amico è una cosa del tutto naturale. Non ha bisogno di leggere manuali sul comportamento e la psiche umana, non ha bisogno di studiare la nostra evoluzione e di trascorrere mesi tra le scimmie per comprendere i nostri modi di comunicare e inventarsi teorie su come sia meglio relazionarsi con noi, non ha bisogno di rivolgersi a degli “esperti” per addestrarci a fare ciò che vuole che facciamo.
Senza bisogno di alcun corso, il cane sa darci amore incondizionato, perdono a più non posso, devozione all’ennesima potenza. Non ha bisogno di cercare di essere qualcosa di diverso da ciò che è. È un cane, e tanto gli basta. E una spinta evolutiva interiore lo porta a cercare inevitabilmente, inesorabilmente, insistentemente – anche a costo di pagarne dolorose conseguenze – di stare accanto all’uomo.
L’uomo ha sempre preso sottogamba la devozione del cane, interpretata un po’ come frutto della domesticazione, un po’ come ingenuità, un po’ come stupidità connaturata a una condizione inferiore.
Certo, il cane non trova impedimenti al proprio amore incondizionato perché non si ritrova intralciato dalla nostra ingombrante mente razionale separativa ed egoista. Ma questo non è un buon motivo per sminuire ciò che da lui ci viene. E soprattutto, dovremmo stare attenti a prendere sottogamba le implicazioni della devozione canina.
Quando ci fa comodo ci proclamiamo superiori e sminuiamo le qualità degli esseri che non hanno le nostre stesse capacità cognitive, ritenendoci così giustificati nello sfruttarli a nostro piacere (anche il cane: guardiano, cacciatore, difensore, ecc.). Dall’altro, però, sfuggiamo ai doveri impliciti nella nostra posizione di “esseri superiori”. Del resto, fino a che la nostra visione del mondo è strettamente materialista, non può che essere così.
Affinché davvero cominciamo a chiederci come essere i migliori amici dei nostri cani e quali siano le responsabilità e i doveri che abbiamo nei loro confronti, la nostra visione del mondo deve iniziare a mutare. Dobbiamo fare un passo in là, oltre la mente inferiore separativa, e iniziare ad ascoltare quella voce interiore che ci sussura che forse noi siamo qualcosa di più oltre al nostro corpo, alle nostre emozioni, alle nostre idee; iniziare a lasciare fluire la voce dello spirito attraverso di noi. Quella voce che gli animali e ogni elemento di natura lasciano da sempre fluire attraverso di sé senza frapporre ostacoli. Ed è per questo che gli animali e la natura sono per noi fra gli strumenti più potenti per riconnetterci col divino.
Solo, rispetto agli animali, noi uomini abbiamo la potenzialità di imparare a lasciare fluire lo spirito attraverso di noi con consapevolezza.
Nel momento in cui faccio un passo oltre la mia mente materialista e separativa, inizio inevitabilmente a farmi delle domande: cosa ci faccio qui? qual è il senso della mia vita? All’interno di una visione materialista, queste domande non trovano risposta; possono trovare solo delle ipotesi più o meno filosofiche, che appariranno tutte equivalenti e prive di quelle “prove” di cui la mente razionale ha bisogno per credere in qualcosa. Le risposte, difatti, non posso trovarle nella mente razionale, ma solo nel mio sentire infuso di consapevolezza. Sento che il mio essere non finisce col mio corpo fisico, e dò fiducia a questo sentire. Sento che deve esserci un senso dietro la mia esperienza di vita. Da qualche parte dentro di me, sento anche non posso più vivere senza chiedermi quali siano le conseguenze delle mie azioni, dei miei pensieri, delle mie parole, su tutto ciò che esiste attorno a me: persone, animali, piante, il mondo intero. Sento, che nell’essere che sembra separato da me c’è però qualcosa di molto simile a me, qualcosa che sta al di sotto dell’apparenza, che attiene più allo stato dell’essere che a quello dell’avere. Sento che anche nel mio cane c’è quel qualcosa, mi permetto di vedere l’anima dietro ai suoi occhi.
E se tutto ciò che vive è coscienza evolvente, non possiamo più vedere quello che accade attorno a noi come il risultato imprevedibile e insignificante del caso. Tutto ciò che avviene nella nostra vita – le circostanze, le persone, gli animali, i luoghi del nostro divenire – è perfettamente e armonicamente messo in essere da quell’infinita Intelligenza di cui il nostro Sé fa parte, per permettere alla nostra coscienza di evolvere ulteriormente, di fare esattamente quel balzo in avanti necessario in quel preciso istante della nostra evoluzione.
E se nulla capita a caso, nemmeno l’incontro con il nostro cane è un caso, e nemmeno le sfide che egli ci porta, le malattie che lo colpiscono, gli incontri che ci conduce a fare. Tutto ciò che ci capita, tutto ciò che avviene nel mondo fisico ed emotivo del nostro animale, in realtà riguarda molto da vicino proprio noi stessi, forse anche più del nostro cane stesso.
Questo perché, come è naturale all’interno di un ordine gerarchico dell’evoluzione degli esseri, il campo emozionale/mentale umano è ben più potente del campo emozionale di un singolo animale. Di conseguenza è il campo emozionale del cane a essere influenzato da quello umano, e non tanto viceversa. L’animale (che fra l’altro, avendo un piano mentale meno sviluppato di quello umano, vive in gran parte focalizzato sul piano emozionale), è estremamente permeabile alle emozioni emesse dal suo essere umano di riferimento o da quelle della sua famiglia nel suo complesso. Ne consegue che non potrà che esserne influenzato nei suoi atteggiamenti, attitudini, comportamenti, predisposizioni e debolezze fisiche (come sappiamo, le emozioni non sono affatto prive di conseguenze sul corpo fisico e a lungo andare, situazioni emozionali squilibrate finiscono per determinare condizioni patologiche sul piano fisico).
Per questo motivo, la presenza del cane al nostro fianco può essere considerata un vero e proprio dono che il mondo spirituale fa all’uomo per aiutarlo nella sua crescita, giorno dopo giorno. Osservando le problematiche che il nostro cane ci porta, possiamo vedere parti di noi che magari non ci fa piacere vedere, ma che il nostro Sé porta davanti a noi attraverso il nostro compagno, nella speranza che ne prendiamo nota e che, magari proprio per amore del nostro amico, facciamo quanto necessario per risolvere, lavorando su noi stessi.
La presenza dei nostri animali è dunque ancora più preziosa di quanto non appaia a prima vista e l’unico modo in cui possiamo contraccambiare un dono tanto grande è svolgendo appieno il nostro ruolo nei confronti dell’animale. Un ruolo che ha molteplici aspetti, riconducibili a due principali: quello di custode e quello di compagno di viaggio. Quello di custode ha degli aspetti genitoriali e prevede diverse responsabilità che necessariamente ci dobbiamo assumere nel momento in cui introduciamo l’animale nel mondo umano. Quello di compagno di viaggio è invece un compito di tipo più amicale, ma non richiede per questo meno impegno e meno presenza..